Indipendentemente dal tipo di scambiatore che si adotti, è fondamentale in fase di scelta e progetto considerare sempre un adeguato fattore di sporcamento (fouling factor). Infatti, pochi scambiatori lavorano con fluidi totalmente puliti. In genere invece i fluidi di lavoro e di processo tendono a sporcare in vario modo le superfici di scambio, con sedimenti, incrostazioni e formazioni di altro genere che se non ripulite possono danneggiare e corrodere seriamente le componenti dello scambiatore.
I fluidi di lavoro che vengono impiegati negli scambiatori di calore contengono quasi nella totalità dei casi una certa quantità di sostanze dissolte o in sospensione: sali, carbonati cristallini, particolato di sabbia e fanghiglie, ma anche sostanze risultanti dalle reazioni chimiche indotte nei fluidi durante il processo termico, cloruri, ossidi e alghe e batteri. Queste sostanze depositandosi formano ostruzioni che ostacolano il passaggio dei fluidi, e stratificazioni che abbassano la conducibilità termica dei materiali, generando una crescente resistenza al trasferimento termico. Anche le guarnizioni, laddove presenti, sono esposte nel tempo a erosione meccanica e chimica dovuta a tali sostanze.
Il fenomeno è tutt’altro che da sottovalutare, se pensiamo che studi di settore valutano solo per gli Stati Uniti un costo industriale di 4 miliardi di dollari l’anno dovuto a incremento nei consumi energetici e fermo macchina conseguenti alla diminuzione dell’efficienza degli scambiatori. Una permanenza dei sedimenti all’interno degli scambiatori porta a fenomeni localizzati di foratura, pitting, vaiolature e corrosione: basti pensare che lo spessore medio di una piastra, ad esempio, varia tra 0.5 a 0.6 mm, a volte anche meno, per cui il rischio è alquanto reale.
Per ovviare al rischio, la scelta dei materiali adeguati ai fluidi di lavoro, dotati della giusta resistenza chimica alla corrosione, e il corretto dimensionamento dello scambiatore sono fattori fondamentali. In generale, si conviene di calcolare un dimensionamento in eccesso circa del 10% a quanto richiesto dalla duty termica in misura tale da compensare il fouling factor atteso.
Anche la velocità di flusso dei fluidi di lavoro incide sul tasso di sporcamento cui uno scambiatore andrà incontro. Relativamente a questo punto, l’indice di sporcamento connesso a scambiatori di calore a piastre è nettamente inferiore a quello di scambiatori di calore a fascio tubiero, in virtù della turbolenza maggiore dei fluidi nel tipo a piastre. Tenendo conto di questa differenza, insieme al fatto che i coefficienti di trasferimento termico di uno scambiatore di calore a piastre sono alquanto diversi da quelli di uno a fascio tubiero (si parla di circa 6000 W/ m2K contro 1500 W/m2K), il dimensionamento di uno scambiatore a piastre va calcolato impiegando criteri molto diversi da quelli necessari al dimensionamento di uno a fascio tubiero, dove il fattore di sporcamento è molto più alto a causa della bassa velocità che viene a crearsi nei canali.
Avere uno scambiatore le cui superfici sono accessibili, come in caso di scambiatori a piastre ispezionabili, è allora ottimale per procedere con operazioni di disincrostazione anche effettuabili sul luogo stesso dell’impianto (cleaning in place, o CIP). In presenza di fluidi con solidi sospesi di natura fibrosa e liquidi che depositano sostanze insolubili (es. carbonati di calcio per decomposizione termica), uno scambiatore a spirale è la soluzione migliore, in quanto dotato di singoli canali di controlavaggio (backflushing) dove l’inversione della direzione di flusso provvede autonomamente alla rimozione delle grosse particelle di sporco e dei materiali incrostanti. Sarà opportuno pensare di dotare lo scambiatore con adeguati filtri, a cartuccia o autopulenti, e processi di trattamento chimico o con biocidi dei fluidi, per purificarli quanto possibile da eventuali sostanze che a lungo termine possono compromettere seriamente le prestazioni dello scambiatore di calore.