La cogenerazione è un sistema in larga diffusione per la generazione concomitante di energia elettrica e termica, in termini di caldo/ freddo, che permette di sfruttare per un massimo rendimento il lavoro di motori endotermici in gruppi elettrogeni, aumentandone la resa energetica dal 40-45% fino al 90%. Questo avviene proprio grazie a macchine termiche che consentono il recupero del calore generato dai motori, tramite recupero dei fumi, dalle acque di raffreddamento nelle camicie del motore o dal circuito dell’aftercooler.
Per ottimizzare questo recupero, esistono moduli premontati e progettati allo scopo, completi di tutta la componentistica che ne permetta un funzionamento automatico e affidabile. Questi moduli prefabbricati comprendono solitamente:
Nel qual caso la necessità di recupero del calore di scarto venga meno, è necessario munire l’impianto anche di un sistema di dissipazione del calore di emergenza, corredato da elettroradiatori che provvedono comunque a smaltire il calore generato dal motore.
Tutte queste componenti devono essere scelte attentamente e correttamente calibrate, altrimenti si rischiano malfunzionamenti e danni anche gravi al motore. Una attenta progettazione del sistema di recupero dell’energia termica di scarto nella cogenerazione è infatti molto importante, in quanto se mal progettato, l’impianto di recupero di calore può dar luogo a moltissimi problemi. Bisogna infatti tenere ben presenti certi fattori, sia in fase progettuale che esecutiva. A livello di progettazione, si deve stare molto attenti alle temperature e alle sollecitazioni da esse indotte nelle apparecchiature interessate allo scambio termico.
A livello esecutivo, occorre adottare tutta una serie di accorgimenti che permettano all’impianto di operare in sicurezza. Un impianto di cogenerazione è infatti pensato per operare in continuo, per tempi piuttosto lunghi, quindi vanno messi in preventivo dei controlli a cadenze programmate, che vengano fatti in modo attento e scrupoloso.
Infatti alle temperature in gioco e con le relative condizioni di esercizio di un impianto di recupero fumi, un piccolo particolare tralasciato può causare nel tempo danni ingenti, che comportano spese importanti per poter essere ripristinati: vibrazioni, dilatazioni, serraggio bulloneria, guarnizioni ed elementi di tenuta sono solo alcuni dei particolari che vanno controllati e verificati costantemente.
Per semplificare, ai nostri clienti facciamo spesso questo esempio: considerando un carico di lavoro di 8000 ore/anno, se l’impianto fosse una autovettura che marcia a 50 km/h, vorrebbe dire che in un anno percorre almeno 400.000 km. Una autovettura in tal caso, quanti tagliandi avrebbe già effettuato? E soprattutto, starebbe ancora marciando?
Se è vero e sacrosanto che negli impianti di cogenerazione è utile e vantaggioso recuperare il più possibile per la parte acqua ed olio, la questione prende un aspetto a parte per quanto riguarda il recupero dei fumi: recupero molto intelligente, in quanto per tale parte si opera con un fluido a temperatura molto elevata, quindi anche se con portate basse (in massa), è possibile ottenere un ottimo recupero termico applicando uno scambiatore a fascio tubiero. Occorre però considerare che i gruppi di cogenerazione con motori endotermici possono essere alimentati da diversi combustibili:
Proprio il tipo di combustibile diventa fondamentale sia nella selezione dei componenti sia nello specifico nella scelta dello scambiatore di calore per il recupero dei fumi esausti. Infatti a seconda del tipo di combustibile utilizzato, si potranno avere diversi coefficienti di sporcamento da considerare nella scelta del diametro dei tubi. Inoltre, cosa ancor più importante, è bene che lo scambiatore fumi sia dimensionato in modo corretto e non sovrabbondante.
Questo perché un dimensionamento abbondante del recuperatore fumi porta a un abbassamento spinto della temperatura dei fumi in uscita dallo scambiatore. Ciò porta un incremento della probabilità di formazione di condense che, a seconda del tipo di combustibile utilizzato, potranno essere più o meno acide, aumentando di conseguenza i rischi di corrosione sullo scambiatore stesso.
Solitamente si tende a recuperare il calore dai fumi cercando di ottenere una loro temperatura in uscita non più bassa di 130°C (valore indicativo che varia al variare del tipo di combustibile). In ogni caso, le regole di una buona progettazione di un impianto di cogenerazione consigliano:
Occorre poi pensare sempre ad aggiungere anche una buona valvola di by-pass sui fumi, che sia in grado di resistere e funzionare a 600°C e oltre.
Sempre più diffusa oggi è anche l’applicazione di gruppi di cogenerazione nelle discariche di rifiuti e negli allevamenti, in quanto si tratta di una soluzione energeticamente molto valida dal momento che il biogas generato dai rifiuti o dai reflui degli allevamenti animali rappresenta un’ottima fonte di energia alternativa. Tuttavia il biogas prodotto in questi impianti non può essere impiegato direttamente nel motore, in quanto è umido e carico di condense acide e corrosive, e va quindi deumidificato. Altrimenti, se immesso nei motori endotermici, ne determinerebbe un cattivo funzionamento oltre a comportare danni irreparabili in pochissimo tempo.
Allo scopo di renderlo meno ‘aggressivo’ e adatto ai motori, tutti questi impianti vengono dotati di sistemi di deumidificazione spinta, che consistono in una accoppiata di:
In pratica il biogas che arriva da una soffiante a circa +40 +45°C viene spinto in uno scambiatore a fascio tubiero, alimentato sul secondario da una miscela di acqua e antigelo a temperature prossime agli 0°C. In questo modo, l’umidità presente nel biogas viene condensata quasi completamente, rendendo il biogas stesso all’uscita dello scambiatore a fascio tubiero a circa +3 +4°C saturo, ovvero con umidità relativa al 100%, ma con valori di umidità assoluta bassissimi. Con un post riscaldamento effettuato tramite una ulteriore soffiante o altri sistemi, lo si rende pronto per essere mandato in alimentazione al motore.
L’utilizzo sempre più comune negli impianti di cogenerazione dell’olio di palma, o di oli vegetali in genere, pone inoltre un ulteriore problema: questo combustibile a temperatura ambiente ha una viscosità molto elevata, presentandosi in forma quasi gelatinosa. Per questo spesso questi impianti hanno una doppia alimentazione, vengono cioè fatti partire a gasolio, quindi si passa alla alimentazione a olio di palma.
In ogni caso, l’olio di palma va mantenuto caldo nel serbatoio, e le soluzioni possono essere diverse, con resistenze elettriche immerse direttamente nel serbatoio oppure con serpentini alimentati ad acqua calda. La soluzione ottimale è quella di usare scambiatori a piastre immerse TCOIL, costruite su misura e inserite direttamente nel serbatoio, sfruttando il passo d’uomo e alimentandole con acqua calda, magari sfruttando l’acqua stessa dei jacket dei motori. Applicazione questa che rientra nello spirito di un impianto di cogenerazione, effettuando di fatto un primo recupero (anche se di entità minimale).
Le performance di recupero di calore in un impianto di cogenerazione dipendono infine strettamente da alcuni fattori:
Il tipo di fluido di lavoro nel sistema di recupero di calore di un impianto di cogenerazione è in particolare un fattore cruciale per l’ottimizzazione del ciclo termodinamico, e va scelto in dipendenza dalla temperatura della fonte primaria di calore di scarto.