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Come comandare i riscaldatori elettrici in una centralina di termoregolazione?

Quali sono le possibili soluzioni per comandare i sistemi di riscaldamento elettrico nelle centraline di termoregolazione? Le possibilità sono sostanzialmente tre, ottenendo mano a mano una regolazione della temperatura sempre più fine.

Un primo modo per comandare e pilotare i riscaldatori elettrici nelle unità di termoregolazione è con un termoregolatore elettronico, che per garantire la precisa regolazione dei set point di temperatura fa intervenire un teleruttore, e quindi le resistenze elettriche, con una certa frequenza. Chiaramente, se occorre far intervenire le resistenze con una frequenza elevata, e soprattutto in caso di resistenze con potenze sostenute, il teleruttore avrà una durata più limitata.

I contatti di un teleruttore sono infatti progettati per garantire una certa vita utile. Oltre un certo numero di cicli i contatti del teleruttore si rovinano. In gergo si usa dire che il teleruttore si ‘impasta’, ovvero i contatti al suo interno si saldano tra loro. In tal modo i contatti non si aprono più e non rispondono più al termoregolatore, mandando la centralina in alta temperatura.

In questo caso vi sono dei sistemi di sicurezza che intervengono, come dei termostati di sicurezza che provvedono a interrompere la tensione e arrestare il sistema.
La termoregolazione ha quindi in questo primo caso dei limiti fisici legati al numero di interventi che può fare un teleruttore elettro-meccanico.

Una seconda possibilità è usare dei relè statici, che vengono governati elettronicamente e senza contatti elettro-meccanici. Questa soluzione permette anche di fare delle micro-aperture e micro-chiusure, ottenendo una regolazione della temperatura ancora più fine e sofisticata.
Di contro anche un relè statico può guastarsi e rimanere chiuso, facendo salire la centralina oltre le temperature di sicurezza. Anche in tal caso interviene il termostato di sicurezza, e solitamente nelle nostre centraline Tempco aggiungiamo un teleruttore di linea comandato dal termostato di sicurezza, che mette in blocco il sistema in caso di superamento delle temperature.

Infine, una terza possibilità è usare dei relè statici SCR (silicon controlled rectifier), o tiristori, con potenza regolabile. Questi permettono un controllo della temperatura ancora più accurato e preciso. Anziché infatti operare con un azionamento on-off del termoregolatore, è possibile avere una potenza che modula da un valore minimo a un valore massimo della temperatura. Come se fosse un inverter ma applicato a delle resistenze di riscaldamento.

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Online la guida Tempco alla gestione dell’energia termica

La lunga esperienza di Tempco nel campo della gestione dell’energia termica ha portato qualche anno fa alla stesura di un libro dedicato, Energia termica e processi industriali, manuale tecnico che ora approda in una apposita sezione del sito web di Tempco.

Abbiamo infatti deciso di mettere a disposizione online i vari contenuti per aiutare operatori e aziende a orientarsi tra le principali macchine termiche, e a familiarizzarsi con concetti essenziali quali la determinazione del carico termico, fondamentale per la corretta progettazione di soluzioni di regolazione della temperatura, riscaldamento o dissipazione di calore.

La sezione principale del libro è dedicata alla definizione delle diverse tipologie di macchine termiche, e a come procedere alla scelta della macchina termica più adatta in base alle proprie esigenze di produzione. Dai classici scambiatori di calore alle torri evaporative e ai chiller, alle centraline di termoregolazione aggiornate ai più avanzati sistemi IoT di condition monitoring, fino a soluzioni intelligenti che incrementano il risparmio energetico come free cooler e dry cooler.

Il manuale comprende infine una ricca e dettagliata panoramica di casi applicativi realizzati da Tempco in una varietà di settori, quali farmaceutico, chimico e alimentare, oil & gas, comparto siderurgico e delle macchine utensili, e fino alla produzione di componentisca automotive, cogenerazione e power generation e alle nuove frontiere del liquid cooling nel raffreddamento dei data center.

La pubblicazione dei contenuti avverrà a cadenza settimanale, a partire dal mese di novembre e per i tre mesi a seguire. Non ci resta allora che augurarvi una buona lettura, augurandoci possa fare da spunto per ulteriori domande e approfondimenti da sviluppare ed esplorare insieme!

 

Energia termica e processi industriali

Tempco Energia termica

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Cosa sono e dove servono gli scambiatori a doppia parete

Prendendo spunto da un bellissimo e interessante video pubblicato sul canale Youtube di Kaori, nostro storico partner per gli scambiatori a piastre saldobrasati, parliamo di scambiatori di calore a doppia parete.

Gli scambiatori di calore a doppia parete sono degli scambiatori di sicurezza, che hanno la peculiarità di avere una doppia piastra, da cui la denominazione ‘double wall’, doppia parete. Ciò fa sì che anche in caso di rottura di una piastra, per foratura, per corrosione o altro, non ci può essere miscelazione tra il fluido primario e quello secondario.

Questo tipo di costruzione è applicabile sia su scambiatori a piastre saldobrasati che su scambiatori a piastre con guarnizioni, ma anche negli scambiatori a fascio tubiero. Vengono applicati laddove è assolutamente necessario garantire che in nessun caso vi possa essere miscelazione tra i due fluidi. Esempi sono l’industria alimentare, dove bisogna scongiurare che il prodotto da raffreddare prima di essere imbottigliato, ad esempio acqua minerale, bibite, latte o vino, possa mischiarsi con l’acqua di raffreddamento, magari nemmeno potabile.

Altre applicazioni degli scambiatori di calore a doppia parete sono con olio idraulico e olio diatermico, dove la presenza di acqua all’interno dell’olio sarebbe dannosa se non estremamente pericolosa. Ancora, il raffreddamento dell’olio nei trasformatori di potenza, dove la miscelazione di acqua e olio potrebbe portare danni molto costosi.

Negli scambiatori con guarnizioni, la rottura di una guarnizione non comporta la miscelazione dei fluidi, in quanto in tal caso questi fuoriescono dallo scambiatore. La miscelazione può avvenire solo in caso di rottura di una piastra. Con gli scambiatori a doppia parete, in caso di rottura di una piastra la perdita va verso l’esterno, e quindi è immediatamente visibile. Questa visibilità non è invece così immediata in uno scambiatore a fascio tubiero. In tal caso, si ha una camera di raccolta dove finiscono le eventuali perdite, e al cui interno possono essere installati dei sensori che allertano il personale di manutenzione della perdita e quindi della rottura di un tubo.

Ovviamente si tratta di una tipologia costruttiva molto più costosa, in quanto come minimo viene raddoppiato il materiale. Inoltre, il raddoppio delle piastre, con una intercamera d’aria che si crea tra fluido primario e secondario, diminuisce i coefficienti di scambio termico. Ciò richiede di conseguenza che venga aumentata la superficie di scambio. Effetto che è ancora più evidente negli scambiatori a fascio tubiero, dove già in partenza si lavora con coefficienti di scambio termico molto bassi, che diminuiscono ulteriormente a causa dell’inserimento di un tubo nel tubo e di una camera d’aria addizionale.

D’altra parte gli scambiatori a doppia parete sono inevitabili in tutte quelle applicazioni dove è necessario scongiurare a tutti i costi la miscelazione tra i fluidi.

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Raffreddamento in torre per test convertitori di potenza

Quello che vedete in queste immagini è un sistema di raffreddamento per sala prove di convertitori di potenza da poco realizzato per un cliente. L’azienda in questione produce convertitori di alta potenza, di tipo a diodi, tiristori o IGBT, che impiegano elettronica e tecnologie di regolazione digitale avanzate.

Torre evaporativa test convertitori

Nella fattispecie l’impianto di raffreddamento dedicato alle operazioni di test e verifica dei convertitori che abbiamo realizzato consta di un sistema prefabbricato, costituito da:

Torre evaporativa
– Gruppo di pompaggio
Scambiatore a piastre
– Sistema di dosaggio e addolcimento
– Quadro elettrico di controllo con inverter sui ventilatori della torre

Quest’ultimo provvede a regolare e adattare il funzionamento dei ventilatori in funzione delle temperature esterne, assicurando la massima resa di raffreddamento con il minor consumo energetico possibile.

Scambiatore test power converters

 

Si tratta per Tempco di un tipo di applicazione ben consolidata, dove l’ampia esperienza che abbiamo maturato ci rende un punto di riferimento per lo specifico ambito del raffreddamento nei test di strumentazione di potenza. Qualche mese addietro avevamo già parlato di un’altra applicazione, identica a questa, per la dissipazione dei carichi nel collaudo di inverter, realizzata con dry-cooler su potenze più contenute.

 

Tempco scambiatori test convertitori

 

Tempco test convertitori

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Vantaggi e caratteristiche della termoregolazione monofluido

La termoregolazione monofluido è una soluzione che offre notevoli vantaggi in applicazioni per l’industria farmaceutica e chimica. Qui la termoregolazione viene fatta per controllare la temperatura di maccchine di produzione, come reattori, pressofiltri, miscelatori, mescolatori. In tutti questi apparecchi occorre mantenere temperature con rampe di salita e di discesa, dunque con un range di lavorazione del prodotto che va da temperature alte a basse e viceversa.

Prendiamo il caso tipico di un reattore per produzione di un principio attivo farmaceutico. Partendo dalla temperatura ambiente, il prodotto va riscaldato e quindi mantenuto a una certa temperatura. Sarà poi necessario a un certo punto raffreddarlo, e poi magari nuovamente riscaldato e così via.

In genere vengono usati reattori incamiciati con semitubo o con camicia di scambio termico. Un fluido caldo o freddo viene fatto circolare all’interno della camicia, a seconda del livello di temperatura richiesto per il prodotto all’interno del reattore.

In passato, ma ancora oggi, a seconda del ciclo termico si faceva passare un fluido caldo all’interno della camicia per riscaldare, vapore o olio diatermico ad esempio. Quando poi si doveva raffreddare, si scaricava completamente il vapore e la condensa per poi far passare nella stessa camicia acqua refrigerata o acqua con antigelo. Tutte queste operazioni di riempimento e svuotamento richiedono naturalmente tempo, e possono rallentare la produttività. Inoltre, questa soluzione offre un controllo della temperatura solo relativamente preciso e accurato.

Negli anni si è quindi sviluppata la tecnologia monofluido. Questa impiega in pratica gli stessi fluidi come utility – vapore, olio diatermico, acqua calda, acqua refrigerata e acqua con antigelo -, che lavorano però su una batteria di scambiatori. All’interno degli scambiatori circola un unico fluido in grado di sopportare il range di temperatura richiesto dall’intero processo di termoregolazione.

Questo fluido viene quindi fatto circolare all’interno della camicia del reattore. I vantaggi sono evidenti: eliminazione dei tempi morti, dovuti alle operazioni di svuotamento e caricamento dei diversi fluidi, e soprattutto si evita il rischio di miscelazione dei fluidi in caso di errori in queste operazioni. Ovvero, avere acqua glicolata che finisce nella caldaia, o condensa che entra nel chiller, diluendo l’acqua con antigelo esponendo al rischio di congelamento.

Notevoli sono i vantaggi, cui chiaramente si accompagna qualche svantaggio. Si perde infatti qualcosa in termini di scambio termico, in quanto servono utilities a temperatura un poco più alta o più bassa del fluido che scorre nella camicia. Dal punto di vista operativo i vantaggi sono però tali da farne una soluzione largamente adottata. Infine, non c’è paragone sotto il profilo del controllo della temperatura che si riesce a ottenere: si può agire con valvole modulanti o con un sistema di valvole bypass o di regolazione che consente di avere un livello di controllo della temperatura estremamente fine.

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Fouling factor negli scambiatori e nanocoating

Repetita iuvant, dicevano i latini, ed è il caso del fattore di sporcamento delle superfici di scambio termico negli scambiatori di calore, di cui ogni tanto torniamo a parlare. Il cosiddetto fouling factor è un fattore cruciale nella progettazione di un sistema di raffreddamento o riscaldamento che impiega scambiatori di calore, definito come la resistenza teorica allo scambio termico generata dall’accumulo di depositi sulle superfici di trasferimento. Per determinare il fouling factor è necessario valutare il tipo di applicazione, le temperature di processo coinvolte e, naturalmente, il tipo di fluidi che passano nello scambiatore.

Tempco sporcamento scambiatori

E’ possibile distinguere sostanzialmente quattro meccanismi di sporcamento, di tipo chimico, biologico, da deposizione e da corrosione.

Fouling chimico
Qui rientrano quei fenomeni di deposizione di sostanze che si generano per reazione chimica nei fluidi di processo al raggiungimento di determinate temperature. Esempio possono essere la cristallizzazione di sali e carbonati, che precipitano a temperature di circa 55° C depositandosi sulle piastre o sulle tubazioni degli scambiatori. Un altro esempio può essere quello dell’industria casearia, dove a certe temperature le proteine del latte bruciano formando una pellicola sulle superfici di scambio termico.

Fouling biologico
All’interno dei fluidi è possibile che si formino dei microorganismi, alghe, funghi e batteri, che attaccandosi alle pareti di scambio non solo limitano il trasferimento termico, ma favoriscono effetti di corrosione dei materiali. La selezione di materiali ostili al proliferare di questi micro organismi è qui una possibile soluzione.

Fouling da deposizione
Capita spesso nel raffreddamento o riscaldamento di processi produttivi di dover lavorare con fluidi contenenti particelle in sospensione. Se non vengono presi alcuni accorgimenti di progetto, come sezioni aumentate dei canali di passaggio, l’installazione in verticale degli scambiatori (la forza di gravità contribuisce in questo caso a far defluire le particelle dallo scambiatore) o l’assicurare determinate velocità di flusso, queste particelle si depositano e si accumulano sulle superfici di scambio, abbassando l’efficienza termica.

Fouling da corrosione
Una non adeguata scelta dei materiali delle piastre può portare nel tempo a effetti di corrosione, con la formazione e la deposizione di strati di ossido sulle superfici di scambio, che hanno un effetto isolante che limita il trasferimento termico.

Tempco corrosione piastre scambiatori

In molti casi, interventi di pulizia chimica o meccanica sono risolutivi, provvedendo per tempo alla rimozione dei sedimenti che altrimenti a lungo andare possono ostruire completamente lo scambiatore e bucare le superfici di scambio.
E’ però anche possibile prevenire lo sporcamento, prestando particolare attenzione a:

  • Scelta dello scambiatore più adatto al tipo di applicazione
  • Corretta selezione del design e dei materiali di costruzione
  • Adozione di dolcificatori o filtri per mitigare le condizioni chimico/fisiche dei fluidi
  • Studio della corrugazione delle piastre per garantire una adeguata turbolenza dei fluidi

Infine, a corollario sono interessanti i nuovi nano-rivestimenti nell’applicazione delle nanotecnologie agli scambiatori di calore per impianti HVAC e di refrigerazione. Si tratta di nanocoating allo studio ad esempio presso l’Istituto Leibniz per i nuovi materiali di Saarbrücken, dotati di proprietà antimicrobiche, antiadesive e anticorrosive, che inibisco la formazione di depositi sulle superfici di scambio termico trattate, riducendo di conseguenza anche sforzi e costi relativi alla pulizia e alla manutenzione periodica degli scambiatori.

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Come prevenire la cavitazione nelle pompe centrifughe

Cavitazione e pompe centrifughe, un binomio assolutamente da evitare in quanto estremamente pericoloso. La cavitazione è quel fenomeno per cui all’interno di un fluido si formano delle bolle di vapore, che implodono immediatamente provocando un rumore caratteristico nel macchinario e danneggiando irreparabilmente le parti di un sistema idraulico, delle giranti della pompa e della pompa stessa. E’ un fenomeno che si può riscontrare tipicamente nelle eliche delle navi come nelle pompe centrifughe, appunto. Vediamo allora cosa fare per evitare la cavitazione nelle pompe centrifughe.

Le pompe centrifughe hanno curve caratteristiche di funzionamento che devono essere rispettate per garantirne il corretto uso. Le più classiche sono la curva di prevalenza della pompa, così come quella NPSH – Net positive suction head, ossia relativa all’altezza di aspirazione massima della pompa. Parliamo qui di pompe che hanno un NPSH, dunque non pompe autoadescanti, che aspirano in autonomia l’acqua. Le pompe con NPSH devono essere riempite di acqua e avere un’altezza di aspirazione dell’acqua che non superi quella del valore della curva NPSH indicato.

Costringendo una pompa a lavorare a un valore di aspirazione inferiore, avremo sicuramente cavitazione. Nella cavitazione, ad esempio sulle pale dell’elica di una nave, bolle d’aria si formano ai profili della pala, riducendo la resa e implodendo. Lo stesso avviene sui profili di attacco delle giranti. Bolle di vapore si creano in quanto viene superata la tensione di vapore, ovvero si scende a una pressione talmente bassa per cui il liquido comincia a evaporare. Facciamo qui appello alla fisica: l’acqua a pressione atmosferica inizia a bollire a 100°C. Mettendo l’acqua in un contenitore sotto vuoto, la temperatura di ebollizione scende moltissimo.

Quando pertanto creiamo una carenza di pressione elevata nelle vicinanze della girante della pompa, avremo una vaporizzazione del fluido. L’acqua che evapora provoca delle micro-implosioni che danneggiano la girante in maniera irreparabile.

 

 

Oltre che da un errato valore di NPSH, il fenomeno può essere indotto anche da una errata installazione della pompa: ad esempio collettori di aspirazione dimensionati in modo errato, o con asperità e spigoli vivi. Mettendo per esempio sull’aspirazione di una pompa una tubazione a gomito o un profilo a T, creeremo degli spigoli che possono generare zone di bassa pressione che causano formazione di vapore. Il vapore si distribuisce sulla girante, accentuando la depressione nella zona di aspirazione della pompa, distruggendo la girante per effetto di cavitazione.

Nell’installazione di una pompa centrifuga è quindi fondamentale rispettare la curva di NPSH della pompa, rispettare l’altezza di aspirazione della pompa o mettere la pompa sotto battente, ovvero creare una pressione positiva sull’aspirazione della pompa. Al contempo, occorre infine assicurarsi della corretta progettazione dei collettori di aspirazione, ponendo molta attenzione nel dimensionamento delle valvole di fondo, valvole di ritegno, valvole in aspirazione.

 

 

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Come combinare efficienza e bassa rumorosità nelle torri di raffreddamento

Oggi parliamo di rumore ed efficienza, con riferimento alle torri di raffreddamento. E’ un argomento che abbiamo già affrontato in passato, in quanto le torri evaporative a fronte di un’ottima efficienza di raffreddamento implicano emissioni sonore legate agli organi in movimento dei ventilatori che possono essere anche piuttosto elevate.

Di sicuro le emissioni sonore sono diventate un problema nel caso portato alla nostra attenzione da un’azienda polacca con cui collaboriamo, Wentylatory Wentech, relativo a una grande compagnia di distribuzione di gas naturale in Polonia. L’azienda del settore energy nel 2015 si è trovata davanti al pericolo di una class action da parte degli abitanti dei centri residenziali e ricreativi costruiti negli spazi adiacenti gli impianti, resi con gli anni edificabili.

Tempco ventilatori Wentech torri evaporative

Il problema principale per la compagnia era quindi adottare soluzioni che permettessero una netta riduzione dei livelli di rumore, garantendo però gli stessi flussi di aria necessari a mantenere le performance dell’esteso sistema di ventilatori installati nelle torri di raffreddamento.

ventilatori torri raffreddamento
L’azienda ha quindi potuto abbattere le emissioni rumorose delle torri di raffreddamento grazie alla soluzione proposta da Wentylatory Wentech. Il fornitore ha innanzitutto proceduto con una serie di rilevazioni in diversi punti dell’impianto e nelle immediate adiacenze alle aree residenziali. La soluzione al problema è stata quindi ottenuta con l’adozione di modelli di ventilatori con giranti da 14”, che uniscono la minore rumorosità possibile sul mercato a livelli estremamente elevati di efficienza.

Tempco ventilatori Wentech bassa rumorosità cooling towers

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Come avviare correttamente una pompa centrifuga

Parliamo ancora di pompe centrifughe, in particolare di come effettuare il corretto avviamento di una pompa per garantirne poi il giusto funzionamento. Si tratta di un’operazione che facciamo normalmente all’avvio delle nostre centraline di termoregolazione.

Per un avvio corretto di una pompa occorre innanzitutto procedere a riempire tutto l’impianto con il fluido di lavoro, raggiungendo il livello minimo o appena al di sopra, oppure alla pressione indicata nel manuale tecnico. Passo successivo è dare un piccolo impulso per verificare il corretto senso di rotazione della pompa stessa. La verifica è importante perché se la pompa ruota in senso inverso si va a danneggiarne la tenuta meccanica. Se la pompa ruota in senso contrario, sarà sufficiente invertire uno dei tre fili di alimentazione (parliamo naturalmente di motori trifase).

Si procede quindi all’avvio della pompa, e per questo strozziamo la saracinesca posta in mandata sulla pompa. Avviamo quindi la pompa e controlliamo il manometro posto sulla mandata. Il manometro deve indicare una pressione stabile. All’avvio di un impianto si ha però solitamente la presenza di bolle d’aria, per cui la lettura sarà piuttosto ballerina in questa fase.

Si va allora ad aprire leggermente la saracinesca in mandata, si ferma la pompa e si procede allo sfiato dell’impianto dai vent posti sulle tubazioni. Si fa quindi ripartire la pompa. L’operazione andrà ripetuta fino a quando la lettura sarà stabile.

 

A questo punto occorre mettere in curva la pompa. Per fare questo leggiamo sul manuale la pressione di lavoro indicata, e misuriamo gli ampere assorbiti dalla pompa. Si deve in pratica controllare che aprendo la saracinesca in mandata si generino perdite di carico tali da mantenere la pompa comunque in assorbimento. Se si dovesse infatti uscire dai parametri di assorbimento del motore, questo verrebbe danneggiato.

Queste operazioni sono semplici in impianti ad acqua, mentre sono un poco più complesse in circuiti a olio idraulico o olio diatermico. In ragione della sua maggiore viscosità, infatti, l’olio impiegherà più tempo a riempire tutti gli interstizi del circuito e le tubazioni. Pertanto è probabile che si continuerà ad avere bolle d’aria per alcune ore. L’operazione dovrà pertanto essere ripetuta più volte fino a quando il valore della pressione sulla mandata della pompa sarà stabile.

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Efficienza e rinnovabili nel data center subacqueo di Microsoft

Arriva da Microsoft una conferma forte dei vantaggi del raffreddamento di data center sfruttando le temperature basse e costanti delle profondità marine per dissipare il calore prodotto dai server. A dimostrarlo è il progetto Natick del data center subacqueo di Microsoft, che dopo due anni di funzionamento a una profondità di 35 metri nel Mare del Nord è stato appena riportato in superficie. Sorpresa, il data center subacqueo presenta una percentuale di server danneggiati otto volte inferiore rispetto a quella di un identico data center installato sulla terraferma, con quindi un tasso di affidabilità otto volte più alto.

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Un altro esempio in grande stile delle potenzialità di risparmio energetico e di efficienza nel raffreddamento di apparecchiature che è possibile realizzare utilizzando bacini d’acqua, non solo nel raffreddamento di data center ma ad esempio anche per pompe di calore, come nelle applicazioni con scambiatori a immersione TCOIL sviluppate da Tempco per la Marina di Loano e sul Lago di Como.

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Alla base del progetto Natick di Microsoft sta l’idea di porre i data center in un ambiente stabile a livello di temperature, senza fluttuazioni tra notte e giorno dannose per i componenti elettronici, sfruttando quindi l’acqua del mare del Nord per raffreddare i server con grande risparmio energetico. Il data center è stato inoltre completamente alimentato a energia eolica e solare. La struttura è stata quindi riempita di solo azoto, privata di ossigeno e umidità che sono causa di corrosione alle apparecchiature. Un ambiente ostico all’uomo e agli operatori, ma molto più favorevole ai componenti elettronici.

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Molto importanti sono quindi i vantaggi ottenuti in termini di maggiore affidabilità e disponibilità con ridotto consumo energetico per il raffreddamento, minori rischi di danni dovuti a urti e movimenti di persone e soprattutto una migliore sostenibilità delle infrastrutture dei data center con utilizzo di sole energie rinnovabili. Un importantissimo passo avanti verso la realizzazione di data center sostenibili, la cui domanda continuerà ad aumentare con la crescita del cloud e della AI nel mondo.

 

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