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Cascami termici per generare freddo

I chiller ad assorbimento sono macchine termiche che consentono di ottenere freddo dal caldo.
Solitamente si tratta di una tipologia di gruppi frigoriferi di grossa potenza, impiegati in impianti di condizionamento o impianti industriali con carichi termici importanti, e soprattutto molto costanti. Questo perché si tratta di macchine con un ciclo termico piuttosto delicato. Vengono utilizzati soprattutto in ambito HVAC, quindi nel condizionamento sia civile che industriale.

Esistono però anche macchine con potenze molto più contenute che consentono di lavorare sia per applicazioni di condizionamento che per applicazioni di processo nell’industria, potendo raggiungere temperature fino a -10° C.

Sono macchine prodotte da Robur, azienda italiana che diversi anni fa acquisì il brevetto da una compagnia americana. Si tratta sostanzialmente di gruppi frigoriferi ad assorbimento di piccola taglia. In versione standard queste macchine prevedono un bruciatore a fiamma diretta che provvede a fornire il calore necessario a innescare il ciclo termico, e quindi produrre il freddo.

Un’idea molto interessante che mi ha affascinato è quella di sfruttare dei cascami termici provenienti da lavorazioni industriali per attivare lo stesso ciclo. L’azienda ha in pratica modificato la macchina per realizzare all’interno una sorta di scambiatore di calore, che consente di utilizzare cascami termici derivati da produzione, da vapore esausto, da olio diatermico a fine lavorazione, con pertanto un notevole risparmio energetico.

Interessante è infatti qui applicare il recupero di calore per produrre freddo, sfruttando energia che altrimenti andrebbe persa e dissipata.
L’unico limite che vedo in questa applicazione è che servono cascami termici a temperature piuttosto elevate, tra i 190° C e i 220° C.
Non è facile trovare calore di scarto a questa temperatura, ma laddove fosse disponibile la soluzione è sicuramente estremamente interessante nonché intrigante.

Penso naturalmente ad applicazioni dove si abbia una continua generazione di calore a perdere, per consentire una continua generazione di freddo. Soluzione che potrebbe quindi risultare molto interessante in tantissime applicazioni industriali, come ad esempio legata ai fumi di scarico da cogenerazione o anche applicazioni legate a fumi da acciaierie e lavorazione del metallo, dove è disponibile parecchia energia di alta qualità, ovvero ad alta temperatura.

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Termoregolazione speciale nella raffinazione chimica

Le immagini che vedete sono relative a centraline di termoregolazione per i reattori di un nuovo impianto di concentrazione e raffinazione di un cliente che opera in ambito industriale chimico.

refining chemical industry

Tempco termoregolazione industria chimica

Le unità provvedono alla termoregolazione fine nei processi di produzione, con la particolarità di lavorare a 150°C con acqua pressurizzata. L’applicazione comporta pertanto condizioni veramente impegnative e stressanti a carico dei vari componenti delle centraline.

A dimostrazione di quanto sfidante sia l’applicazione, queste centraline di termoregolazione speciali sono difatti il risultato di circa sei anni di ricerca e sviluppo di Tempco svolta sui materiali e sui componenti con tutta una serie di test e sperimentazioni.

Tempco refining thermoregulation

Tempco termoregolazione chimica

 

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Condition monitoring in IoT nelle utilities di termoregolazione

Gestione dell’energia e risparmio energetico nel controllo della temperatura nell’industria di processo. Non è certo un discorso nuovo, ma della massima importanza nel settore in cui opera Tempco, che è quello che io chiamo Energia di secondo livello. Con ciò intendo che non ci occupiamo della produzione di energia, quanto di come viene convertita e utilizzata l’energia nei processi industriali, e quindi come viene trasmesso il calore nei processi termici.

Nell’ambito delle nostre attività, volte alla regolazione della temperatura nell’industria di processo, l’energia viene impiegata per l’azionamento dei motori delle pompe, dei compressori frigoriferi, dei motori dei ventilatori, delle resistenze di riscaldamento nel caso di centraline di riscaldamento per olio diatermico o acqua pressurizzata.

Da tempo che pensavo a soluzioni che consentissero il controllo puntuale dell’energia e dell’efficienza delle apparecchiature. Ecco allora che ultimamente si parla moltissimo di Industria 4.0 e IoT, e in Tempco da oltre un anno anche per le nostre macchine stiamo proponendo la soluzione iTempco, che abilita il controllo e il monitoraggio da remoto in tempo reale delle apparecchiature installate presso i nostri clienti.

Devo dire che il sistema non trova facilmente successo, o meglio: se ne parla moltissimo, ma poi l’applicazione viene fatta solo in qualche caso. Questo è dovuto al fatto che le nostre soluzioni sono delle utilities volte al controllo della temperatura, e quindi non connesse direttamente al core dell’impianto che è la linea di produzione vera e propria. Pertanto capita spesso che i nostri clienti non abbiamo interesse a monitorare una utility, quanto magari invece di controllare l’efficienza dell’impianto produttivo stesso. Il rendimento di una utility volta al controllo della temperatura resta in secondo piano.

Eppure dal nostro punto di vista anche le apparecchiature per la regolazione della temperatura consumano energia, e pertanto hanno un impatto sul costo finale del prodotto stesso. Pertanto è utile poter monitorare anche il funzionamento e l’efficienza delle macchine termiche.

Il monitoraggio viene effettuato tramite interfacce che oggi si trovano abbastanza comunemente, che provvedono a interpretare i segnali delle centraline, a trasmetterli in rete e a salvarli sul cloud.

 

Obiettivo primario solitamente è controllare i livelli di temperatura, di pressione e di flusso della macchina, per verificare in tal modo l’efficienza dell’apparecchiatura. E’ così possibile monitorare l’impiego delle centraline, e attuare azioni di manutenzione predittiva o preventiva delle unità. O anche, più semplicemente, quando un cliente chiama per segnalare un problema, essere già in grado di vedere cosa non va nella macchina per intervenire a colpo sicuro, o anche solo indicare al cliente cosa fare per rimettere in efficienza la centralina.

Ciò che solitamente implementiamo è il monitoraggio dei consumi elettrici. Quello che ci interessa è infatti poter monitorare i livelli di consumo energetico della centralina di termoregolazione, così come i picchi di assorbimento di energia, relativamente alle diverse fasi del processo produttivo, ma anche rispetto alle diverse condizioni stagionali durante l’anno. Tante volte abbiamo parlato infatti di come il rendimento di soluzioni come Torri evaporative e Free cooler sia variabile in rapporto alle diverse stagioni.

In tal modo è possibile avere un chiaro prospetto dei consumi della centralina, che si rivela molto utile non solo per ottimizzare il progetto della macchina e calcolare correttamente la potenza da installare presso il cliente, risparmiando già sull’investimento iniziale e tanto più durante il funzionamento della centralina. Ma anche per valutare se valga o meno la pena di implementare inverter, tristori o sistemi di modulazione della potenza.

 

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Tempco entra in Russia con la Certificazione EAC

Quella che vedete in foto è la nostra prima centralina di termoregolazione TREG HCST con Certificazione EAC pronta per installazione in un impianto pharma in Russia. Nel corso dei mesi passati abbiamo infatti avviato nuovi investimenti per cogliere le interessanti opportunità che vediamo aprirsi sul mercato russo.

Tempco termoregolazione EAC

 

Abbiamo avviato a marzo le procedure per conseguire la certificazione EAC delle centraline TREG Tempco e dei relativi accessori, per esportare e installare le nostre soluzioni in Russia e nei Paesi UEE (Unione Economica Eurasiatica). La certificazione EAC è quindi stata conseguita tra fine aprile e gli inizi di maggio, in pieno lockdown…

 

Tempco centraline TREG EAC

 

Tempco TREG EAC

 

Stiamo ora proseguendo nell’investimento per questi mercati, per ottenere la certificazione EAC anche sugli scambiatori di calore e per sviluppare la versione in Russo del nostro sito Tempco, già online da qualche giorno.

Tempco sito russo

Tempco Certificazione EAC

 

Accorgimenti anti-legionella nelle torri evaporative

Torniamo a parlare di torri evaporative sotto un profilo green e ambientale, legato alla pulizia dell’acqua e al problema della legionella.
Il problema legionella associato alle torri di raffreddamento è già stato ampiamente trattato e in modo molto chiaro, ma torna di attualità in questo periodo così particolare che stiamo vivendo, in cui tutti siamo esposti al rischio di agenti patogeni come il coronavirus.

Oggi tutte le torri evaporative in commercio sono dotate di tutte le caratteristiche volte a renderle diciamo così legionella-free, ovvero sono dotate di vasche auto-drenanti e non presentano punti di ristagno dell’acqua, che può portare all’accumulo di cariche batteriche pericolose. Le torri evaporative sono quindi oggigiorno equipaggiate con sistemi di dosaggio di additivi chimici, che servono per eliminare i batteri e le alghe, come anche a mantenere in sospensione i carbonati di calcio e sali nell’acqua che altrimenti possono provocare incrostazioni e intasare la torre, mantenendo quindi l’acqua pulita.

Tutte le torri che oggi si trovano sul mercato, o che siano state installate nell’arco degli ultimi cinque anni, sono quindi dotate di tutti gli equipaggiamenti che le rendono conformi alle normative anti-legionella. Nel caso doveste avere all’interno del vostro impianto una torre di raffreddamento più vecchia di cinque anni, potete sempre rivolgervi a tecnici specializzati, come possiamo essere anche noi del service Tempco, oppure anche al vostro responsabile dei trattamenti chimici dell’acqua dell’impianto che di certo è al corrente delle misure per affrontare la questione.

Rigenerazione scambiatori per produzione API anti covid-19

Vedete qui sotto le immagini di un secondo intervento sugli scambiatori a piastre di un nostro cliente nel settore farmaceutico, che li impiega su una linea di produzione API per la cura del Covid-19.

Abbiamo ricevuto la chiamata il venerdì prima di Pasqua, e lo scambiatore rigenerato è stato pronto alla consegna il venerdì successivo. Lo scambiatore è composto da 85 piastre in titanio, poiché il cliente utilizza una soluzione antigelo aggressiva per l’acciaio inox AISI 316, potendo provocare pitting su usata con questo materiale.

scambiatori a piastre API covid-19

 

scambiatori API covid-19

 

L’intervento inizia con un preliminare controllo visivo dello scambiatore, per procedere poi allo smontaggio completo, e quindi alla rigenerazione vera e propria. Questa comporta:

  1.  Pulizia piastre con lancia ad alta pressione;
  2.  Rimozione della vecchia guarnizione senza utilizzo di attrezzi metallici;
  3. Pulizia piastre in appropriato bagno chimico, risciacquo e asciugatura;
  4.  Pulizia della sede delle guarnizioni da residui di gomma e/o colla;
  5. Controllo visivo delle piastre e controllo geometria di stampaggio e ripristino se necessario;
  6. Controllo sul 100% delle piastre con liquidi penetranti (controlli CND);
  7. Lavaggio per rimozione dei liquidi penetranti dalle piastre e asciugatura;
  8. Fornitura e applicazione della nuova guarnizione;

In questo caso trattandosi di titanio, il controllo con liquidi penetranti deve essere molto scrupoloso, in quanto il titanio è un materiale molto resistente alla corrosione e all’aggressione da cloruri, ma è al contempo più fragile dell’acciaio.

 

revamping scambiatori API covid-19

 

scambiatori piastre titanio API covid-19Al termine di queste operazioni, lo scambiatore è stato chiuso avendo cura di rispettare la quota di serraggio. Si è quindi effettuato il collaudo in pressione dei due circuiti separatamente, e applicata la targa dati aggiornata con la data di avvenuta rigenerazione ed un serial number che permette nel futuro la reperibilità dei ricambi inseriti (guarnizioni/liner dei bocchelli). Alla fine, lo scambiatore è stato pronto per essere reinstallato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

rigenerazione scambiatori piastre API covid-19

 

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Tutta la verità su torri evaporative e inquinamento

Sfatiamo un falso mito che diffama le torri evaporative, legato a tematiche ecologiche e ambientali. Molto spesso, infatti, guardando le notizie al telegiornale o sui giornali che parlano di inquinamento, ci vengono propinate immagini di torri evaporative installate in impianti industriali e vicino a centri abitati o strade di passaggio, con il loro tipico pennacchio che fuoriesce dalla sommità.

Ebbene, per gli addetti ai lavori è chiaro che non si tratta di fumo, ma semplicemente di vapore acqueo. Infatti, le torri evaporative sono macchine molto semplici che vengono impiegate per il raffreddamento di acqua nei processi industriali, sfruttando l’effetto di evaporazione dell’acqua per dissipare calore. Il dispendio energetico di una torre di raffreddamento è molto contenuto, mentre di contro le torri comportano un consumo di acqua rapportato alla potenza termica che devono dissipare.

L’enorme pennacchio che fuoriesce dalla sommità di una torre di raffreddamento è pertanto niente meno che vapore acqueo, goccioline di acqua evaporata che vengono trasportate nell’atmosfera. Facile capire come i non addetti ai lavori possano associarlo a emissioni inquinanti e polveri sottili, ma non ha nulla a che vedere: quel pennacchio è solamente vapore acqueo, che diviene ancora più visibile nella stagione invernale per una semplice ragione di differenze di temperatura.

 

L’unico effetto che le torri di raffreddamento possono dare è che questo vapore acqueo condensi in atmosfera durante l’inverno, generando dei cristalli di ghiaccio. Questi possono quindi depositarsi sulle strade nelle vicinanze della torre, rendendo pericolosa la circolazione delle auto. E’ quindi molto facile che nelle prime ore delle mattine d’inverno si vedano degli incaricati di queste aziende che spargono sale sulle strade intorno agli stabilimenti, per evitare il ghiacciamento e la formazione di lastre di ghiaccio.

Le torri evaporative sono in conclusione probabilmente una delle macchine per raffreddamento più ecologiche, e tra le più efficienti per il raffreddamento di acqua nei processi produttivi industriali.

Energia frigorifera da cascami termici: recupero di calore per generare freddo

Ospitiamo con grande piacere un interessente contributo che ci invia Robur, azienda della provincia di Bergamo specializzata in sistemi di riscaldamento e raffreddamento a basso impatto ambientale. In particolare, l’articolo approfondisce il tema della refrigerazione con recupero di calore da cascami di energia ad alta temperatura.

Nella produzione industriale, l’energia termica è una presenza quasi sempre imprescindibile. Molti processi produttivi infatti utilizzano il calore per svariate lavorazioni alimentari, industriali, del tessile, del vetro e della ceramica, della chimica e della petrolchimica, della metallurgia.
Molti di questi processi hanno come residuo di lavorazione, oltre che parte dei materiali lavorati, anche molta energia termica che viene persa a valle dei processi produttivi. Questa energia prende il nome di cascame di calore, o cascame termico (waste heat, in inglese) e si presenta in varie forme: dai fumi di combustione di un forno, o di un motore a combustione interna, dagli scarichi di una turbina o di un cogeneratore, da vapore in uscita da un impianto di trattamento termico o di essicazione, ecc.

Nelle stesse realtà produttive, all’interno dell’intero processo, ma in un diverso punto della catena di produzione, vi potrebbe anche essere necessità di un sistema di raffreddamento, che anch’esso necessita di energia, ma in questo caso con segno negativo, cioè una richiesta di raffreddamento termico.
E’ in questo contesto che diventa particolarmente interessante l’utilizzo di un’apparecchiatura in grado di utilizzare i cascami termici di un processo per generare dell’energia frigorifera, senza aggravi di consumi energetici, recuperando vantaggiosamente il calore altrimenti disperso.

chiller assorbimento Robur TK

I cascami termici possono essere classificati in 3 diverse categorie: ad alta temperatura (maggiori di 650°C), a media temperatura (tra 650°C a 225°C) e a bassa temperatura (fino a 225°C).
I cascami a media ed alta temperatura sono la forma più ‘pregiata’ dei cascami in quanto possono essere sfruttati sia direttamente che per alimentare altre apparecchiature, come cogeneratori (per la produzione di energia elettrica e calore) e assorbitori (per la produzione di energia frigorifera). Il calore a bassa temperatura può invece essere utilizzato sottoforma di aria o acqua calda per il riscaldamento o il pre-riscaldo di altri processi produttivi che richiedono, appunto basse temperature.

La produzione del freddo con cascami termici a media-alta temperatura
Gli elementi base per la realizzazione di un impianto di produzione del freddo che utilizza cascami termici, si possono sintetizzare in:
– cascame ad una temperatura maggiore a 220°C e di portata adeguata.
scambiatore di calore, in grado di trasferire il calore dal cascame (ad esempio fumi di combustione di un forno) al fluido di scambio (olio diatermico o acqua pressurizzata).
– un circuito di distribuzione del fluido di scambio fino all’assorbitore.
– l’assorbitore a fiamma indiretta (Indirect Fired) per la produzione del freddo.

L’unica energia da aggiungere in questo processo è quella elettrica per il funzionamento degli organi ausiliari, tipicamente pompe di circolazione e ventilatori.

Le unità ad assorbimento Power Fluid Robur
La produzione del freddo con un assorbitore Power Fluid Robur è possibile grazie alle peculiari caratteristiche di questa unità, che utilizza al meglio il calore proveniente da un processo tecnologico. Il suo funzionamento interno è riassunto in questo schema.

chiller assorbimento Robur

Il ciclo termodinamico, che prevede l’utilizzo di una soluzione di acqua e ammoniaca racchiusa in un circuito totalmente ermetico (e non soggetto a ripristino, rabbocchi o sostituzione) è attivato dal calore del cascame, che riscalda il generatore per mezzo di una serpentina, nella quale circola olio diatermico o acqua calda pressurizzata.

La condensazione avviene in aria, quindi senza l’ausilio né la necessità di una torre evaporativa (evitando quindi la realizzazione del relativo circuito idraulico e dispositivi di controllo e regolazione).

refrigerazione recupero di calore

I vantaggi offerti da Power Fluid
In ogni realtà produttiva che prevede un cascame di calore sopra i 200°C e la necessità di energia frigorifera per il processo tecnologico: metallurgica, chimica, del vetro e del cemento, agro-alimentare, lattiero-casearia, l’utilizzo di unità Power Fluid potrebbe risultare molto vantaggioso in termini di risparmio energetico, offrendo la possibilità di ottimizzare la catena di produzione e l’efficienza dell’intero processo produttivo.

Queste unità hanno caratteristiche particolarmente vantaggiose per gli usi tecnologici, in quanto:
– sono semplici nella realizzazione dell’impianto, in quanto non utilizzano torri evaporative, non occupano altro spazio e sono installabili all’esterno.
– sono molto affidabili, in quanto il ciclo termodinamico di queste unità è praticamente statico (solo 2 parti in movimento compreso il ventilatore), caratteristica che consente una lunga durata di funzionamento senza pressoché alcuna perdita di efficienza.
– hanno un ampio campo di funzionamento, sia dell’aria esterna (condensazione), sia dell’acqua fredda in mandata, che può essere prodotta fino a -10°C.
– non richiedono pratiche o autorizzazioni o denunce per l’utilizzo del refrigerante, in quanto utilizza ammoniaca, refrigerante del tutto naturale (valori di ODP e GWP pari a zero).
– è conveniente economicamente, in particolare se viene utilizzata per molte ore/anno di funzionamento, in quanto tutta l’energia frigorifera prodotta è di fatto gratuita.

Verifica preliminare della fattibilità dell’impianto di recupero
Prima di procedere ad una valutazione dettagliata dalla soluzione, è opportuno preliminarmente verificare i seguenti punti:
disponibilità di cascame termico ad una temperatura superiore a 220-240°C. Questa condizione è vincolante per ottenere fluido intermedio di scambio per alimentare l’assorbitore ad una temperatura sufficiente ad innescare il ciclo termodinamico con efficienza.
– contemporaneità di disponibilità di calore di recupero e richiesta di energia frigorifera. L’energia frigorifera erogata dall’assorbitore è subordinata alla presenza di cascami termici utili ad alimentarlo. E’ sempre possibile stoccare l’energia frigorifera eventualmente in eccesso, ma questa condizione richiede un maggiore investimento nell’impianto del circuito frigorifero e quindi va valutata con attenzione.
– ore di funzionamento/potenza frigorifera richiesta per definire il tempo di rientro dell’investimento. Questo indice, come detto, tanto è più elevato, tanto minore sarà il tempo di rientro dell’investimento, in quanto tutta l’energia frigorifera prodotta in modo gratuito coprirà, nel tempo, i costi di investimento dell’impianto realizzato.

Raffreddamento adiabatico nella trafilatura dell’acciaio

Voglio portare oggi alla vostra attenzione un’interessante applicazione che stiamo sviluppando, per raffreddamento industriale nel processo di trafilatura dell’acciaio. Nello specifico, il processo richiede acqua di raffreddamento alla temperatura di 25-28° C.

Si tratta di un range di temperatura dell’acqua particolare, in quanto non abbastanza basso da giustificare l’impiego di un gruppo frigorifero. L’applicazione richiede infatti la dissipazione di diverse centinaia di kW termici, per cui ciò comporterebbe innanzitutto costi di prima installazione molto importanti per il chiller, quindi potenza elettrica assorbita molto elevata, in particolare nella stagione più calda. Di contro, la temperatura richiesta non è troppo bassa per poter essere soddisfatta con una torre evaporativa, soprattutto nella stagione calda, pur con un consumo energetico nella fattispecie molto basso. Inoltre, trattandosi di un raffreddamento diretto del prodotto, l’acqua trattata con anti-alghe, anti batterici e anti calcare della torre sarebbe incompatibile con il prodotto siderurgico stesso, e quindi inutilizzabile.

Davanti al dubbio sul tipo di macchina da utilizzare, l’ideale sarebbe quindi avere una macchina con acqua in circuito chiuso, ma dovremmo utilizzare una torre evaporativa combinata con uno scambiatore di calore, e a maggior ragione avremmo acqua a una temperatura che non rispetta le esigenze del processo di raffreddamento.

La soluzione trovata è stata impiegare dei raffreddatori a circuito chiuso, o dry cooler, di tipo adiabatico. Si tratta di dry cooler con potenziamento adiabatico, che durante la stagione estiva utilizzano un sistema di nebulizzazione di acqua nell’aria che viene aspirata nel cooler dai ventilatori, creando una sorta di effetto ‘torre evaporativa’. La temperatura di riferimento è quindi quella di bulbo umido, avendo un minimo di evaporazione di acqua, ovvero un minimo consumo di acqua, e solo nelle ore più calde della giornata e nelle stagioni più calde. Questo consente di avere l’acqua alla temperatura di 25-28° C richiesta dal processo, per l’intero arco dell’anno, anche in estate, e senza avere acqua in circuito aperto a contatto con l’aria esterna.

 

Il nostro sistema consente in particolare un consumo molto ridotto di acqua, limitato ai mesi più caldi, e non va a sporcare né intasare lo scambiatore alettato. Questi sistemi offrono quindi efficienza molto spinta, consentendo di fare dei raffreddamenti con acqua a circuito chiuso a temperature che sono intermedie tra quelle di una torre evaporativa e di un chiller.

Ovviamente il sistema è stato implementato, come nostra abitudine nella progettazione di questo genere di impianti, con sistemi di inverter sui ventilatori. Infatti durante la stagione invernale, così come in primavera e autunno, con l’aria ambiente alle nostre latitudini non è difficile ottenere acqua di raffreddamento a 25° C, per cui non ha alcun senso far girare i ventilatori alla massima velocità. L’impiego di inverter porta quindi notevole risparmio energetico.

Da una proiezione fatta con il cliente, il consumo di acqua è limitato a un paio di mesi all’anno, molto probabilmente solo nelle ore più calde. Il cliente lavora inoltre su tre turni, quindi durante la notte si ha un minore utilizzo di acqua, se non addirittura azzerato, andando probabilmente anche in parzializzazione sulla velocità dei ventilatori.

Abbiamo infine implementato anche un sistema di monitoraggio da remoto, per verificare l’effettivo consumo di acqua e di energia assorbita dai ventilatori, in vista di una futura ottimizzazione dei processi in cui il cliente prevede di investire ulteriormente. I dati così raccolti portano doppio beneficio, a noi per la fase di progettazione e proposta, e per il cliente, che può così avere piena trasparenza e consapevolezza delle sue esigenze sotto il profilo termico ed energetico. Potendo altresì fare una valutazione del bilancio energetico e quindi dei risparmi in kW che riusciamo a ottenere.

 

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Cosa rende efficace un piano di IT disaster recovery

Ospitiamo oggi con piacere un contributo dell’americana TRG Datacenters, o meglio Un-datacenter come l’azienda da quest’anno ha ripensato il proprio brand per sottolineare il proprio approccio innovativo e customer-centric alla gestione dei data center.
Il settore data center è molto presente nelle attività di Tempco, in particolare con gli scambiatori a immersione TCOIL nelle applicazioni di raffreddamento delle apparecchiature IT, pure cruciali per garantire la continuità operativa dell’infrastruttura di calcolo e storage dati.

Parliamo quindi di come avere un piano di IT distaster recovery efficace e sempre operativo, con pochi ma chiari suggerimenti di TRG Datacenters.

Un piano di IT disaster recovery è vitale per qualsiasi attività. Quando si parla di gravi problemi a livello IT, la lentezza nella risposta o una cattiva gestione possono velocemente rivelarsi catastrofiche. Si possono perdere dati, si può avere un danno di reputazione e causare grave malcontento nei clienti. Un efficace piano di IT disaster recovery può invece aiutare le aziende a limitare l’impatto di ogni sorta di problema, guidando i team aziendali a uscire dall’incresciosa situazione.

IT disaster recovery TRG datacenters

 

Procedure di test regolari e processi chiari
Innanzitutto, capita troppo spesso che le imprese abbiano piani di distaster recovery molto ben definiti, ma altrettanto spesso mai testati. E’ facile capire perché, se si pensa ai costi che un processo di test completo può comportare. Ma il testing è essenziale per garantire l’effettiva efficacia di qualsiasi piano di disaster recovery.

La strategia dovrebbe essere testata con regolarità, e nella sua interezza. Questo perché è molto verosimile che ogni singolo aspetto del piano di recovery possa andare diversamente da quanto immaginato sulla carta. La procedura di testing consentirà invece di appianare ogni possibile intoppo, e verificare ogni dettaglio della strategia. In questo modo sarà possibile eliminare ogni stressante sfida contro il tempo in caso si rendesse necessario applicare il piano per un’emergenza concreta.

 

Consapevolezza del fattore umano
E’ piuttosto imbarazzante il fatto che un incredibile 70% del totale fermi dell’IT non sia provocato da problemi all’infrastruttura, ma bensì il risultato di un errore umano.
Gli errori possono essere legati a molti fattori diversi, andando da una mancanza nella formazione a decisioni infelici del management. Non ci sono sistemi infallibili per proteggere i sistemi dall’errore umano, ma esistono tuttavia metodi per minimizzarne i rischi. TRG raccomanda che una preponderante maggioranza (almeno il 70%) di una strategia di disaster recovery sia incentrata sul fattore umano che alimenta il business aziendale. Investire tempo ed energie sull’aspetto umano della strategia consentirà di limitare fortemente i rischi associati.

 

Chiara definizione degli obiettivi
Occorre sapere esattamente in cosa consiste un ‘disaster’ per il proprio business aziendale, prima di poter creare la strategia di disaster recovery ideale. Si decida quindi cosa significhi disastro IT per la propria attività, e il conseguente recupero delle attività, oltre a come sia possibile misurare il successo della strategia.

Un punto di partenza può essere quello di valutare l’uptime operativo che il business aziendale richiede, e cosa di intende esattamente quando si dice che i sistemi stanno funzionando, e infine cosa i team chiamerebbero un successo in termini di un ritorno alla continuità operativa.

 

Gestione giornaliera delle responsabilità operative
La pianificazione di una strategia di disaster recovery non dovrebbe essere qualcosa che viene fatto una volta e presto dimenticato. Affinché la strategia sia veramente efficace, questa va messa in discussione e aggiornata con regolarità.

Una buona idea è quindi integrare il disaster recovery nella gestione giornaliera delle responsabilità operative, assicurandosi che ogni membro del gruppo di lavoro sia coinvolto in ciò che la strategia comporta, e consapevole di come metterla in pratica. Strategie di disaster recovery devono diventare parte integrante delle attività per i team IT, per dispiegare a pieno tutto il loro potenziale.

 

Infine, in sintesi, sono poche le cose che contano per importanza quanto un piano di disaster recovery, in particolare se si considera l’impatto che strategie e procedure inadeguate possono avere sull’organizzazione. Bisogna dedicare del tempo per assicurare che i sistemi siano protetti da un’ampia varietà di rischi possibili. Occorre per questo pensare con attenzione a cosa significa per la propria attività un disaster planning, per essere quindi in grado di prevenire in maniera veramente efficace gli enormi danni portati da una pianificazione insufficiente.