Sempre più spesso si parla di impianti di cogenerazione e di utilizzo di energie alternative, ma come viene effettivamente utilizzata l’energia che proviene da un gruppo di cogenerazione?
Parliamo di impianti di cogenerazione con motori endotermici (il concetto rimane poi invariato con le turbine, semplicemente i valori cambiano di grandezza e si inizia a parlare di MW…megawatt).Come tutti sappiamo i motori endotermici servono per generare una forza motrice, che si esprime in cavalli o meglio in kilowatt. Questa “potenza”, a tutti gli effetti serve a far muovere un mezzo di locomozione, oppure nel caso di generatori elettrici, a far girare un alternatore e produrre quindi energia elettrica.
Perché si chiama cogenerazione:si chiama cogenerazione perchè si utilizzano dei motori per produrre energia eletrica e calore, infatti i motori endotermici non hanno dei rendimenti eccezionali, tutt’altro e per poter generare potenza, scaldano parecchio. Gli impianti di cogenerazione sfruttano proprio questo calore prodotto, che solitamente viene smaltito tramite il radiatore e disperso nell’ambiente. In pratica, tramite un modulo termico adeguatamente progettato, si produce acqua calda (oltre all’energia elettrica che citavamo sopra), sfruttando il calore dissipato dal motore nelle camicie e nei fumi dello scarico.L’utilizzo più frequente che si può ricavare è legato alla produzione di acqua calda per uso tecnologico (riscaldamento o sanitario o di processo) ed in funzione della tipologia di motore che abbiamo a disposizione, si divide in differenti livelli di recupero:
- –aftercooler: nei motori più grandi ha valori di potenzialità elevata (parliamo di parecchi KW), ma è ad un livello piuttosto basso. Infatti l’aftercooler lavora generalmente attorno ai 50°C, quindi permette un recupero importante a livello di potenza, ma decisamente contenuto a livello di temperature (ricordiamo che per i recuperi è sempre meglio avere poca acuqa caldissima che tantissima tiepida).
- –acqua motore (Jacket): tramite uno scambiatore di calore (solitamente a piastre), si produce acqua calda ad un primo livello, solitamente le camicie del motore arrivano a 90°C circa, quindi sul secondario possiamo pensare di arrivare a scaldare l’acqua già ad una discreta temperatura
- –fumi: con uno scambiatore di calore tipicamente a fascio tubiero, progettato appositamente, si può recuperare una potenza importante in termini di KW, ma soprattutto a livello di temperatura. I fumi infatti solitamente arrivano a temperature nell’intorno dei 500°C. Il recupero di questa sezione è però delicato, infatti è sconsigliabile spingere tali recuperi in maniera spinta, in quanto un eccessivo raffreddamento dei fumi, provocherebbe una condensazione degli stessi. Le condense di uno scarico di motore diesel ad esempio, comporta la formazione di H2SO4, estremamente corrosivo, quindi con costi di investimento per lo scambiatore antieconomici.
- –altro: sui motori di grosse potenzialità, piccole porzioni di recupero, possono essere ricavate dall’olio motore, ma stiamo parlando di valori assoluti che vanno valutati di volta in volta, per capirne l’effettiva economicità di recupero.
L’insieme di tutte queste potenzialità, porta ad un recupero importante, che rende questo tipo di impianto particolarmente interessante per aziende che hanno un utilizzo di energia elettrica costante e sensibile.
L’impianto complessivo richiede poi una serie di apparecchiature accessorie, quali radiatori di dissipazione di emergenza, valvola di bypass fumi, plc per controllo del sistema. Infatti in caso non ci sia carico sul recupero energetico (ovvero in un certo momento non c’è richiesta di acqua calda ad esempio), il motore per poter funzionare regolarmente e continuare a produrre energia elettrica, deve mantenere le temperature di esercizio entro i propri limiti, quindi un sistema automatico, deve permettere l’entrata in funzione dei radiatori per la dissipazione del calore in eccesso non recuperato, contemporaneamente alla deviazione dei fumi alla marmitta, evitando di passare nello scambiatore di recupero fumi (appunto) evitando rischi di sovratemperature e conseguenti rotture degli apparecchi.
Gli impianti di cogenerazione hanno ormai preso un a parte discreta di mercato, con applicazioni insostituibili in certe applicazioni. L’evoluzione di questi impianti prende il nome di “impianti di trigenerazione“, dove oltre alla produzione di energia elettrica e di calore, si sfrutta l’imsieme per la produzione di freddo, tramite impianti ad assorbimento. Non va inoltre trascurata una nuova frontiera legata alla cogenerazione, che coinvolge anche il tipo di alimentazione, ovvero lo sfruttamento del Biodiesel.
E’ bene ricordarsi che progetti di questo livello, richiedono un attento studio preliminare, per valutare bene la validità e la redditività effettiva di applicazione.