Questa è una domanda molto pertinente, che mi sono sentito rivolgere migliaia di volte.
La mia personale opinione, dopo anni di esperienze personali è che quando si può e dove si può è sempre meglio uno scambiatore di calore a piastre.
Lo scambiatore di calore a piastre ha queste tre importanti peculiarità:
- maggiore efficienza
- minore ingombro
- maggiore flessibilità
Questi tre motivi già da soli, danno una risposta più che esauriente.
Ovviamente non possiamo fermarci a questa striminzita analisi, ma dobbiamo ricercare argomenti più fondati.
La discriminante nella scelta del tipo di scambiatore, è dettata ovviamente dalle condizioni di progetto e dai limiti di applicabilità degli apparecchi.
Infatti sarà pressochè impossibile pensare di utilizzare uno scambiatore di calore a piastre sul processo di gassificazione dei fondi di raffineria in un impianto petrolchimico…ma sicuramente su tutte le utilities a servizio di questo processo, un “piastre” si rivela la scelta vincente.
Gli scambiatori di calore a piastre sono nati per applicazioni inizialmente in campo alimentare, pressioni basse, temperature basse, massima flessibiltà.
Negli ultimi anni, il range di applicazione è aumentato esponenzialmente. Con l’avvento dei piastre saldobrasati prima e dei piastre completamente saldati (all welded) in un secondo tempo, i limiti di pressione e temperatura per questi apparecchi si è spostato decisamente verso l’alto.
Non è raro trovare sempre più applicazioni in campo processistico, dove scambiatori di calore a piastre, vengono impiegati a pressioni di oltre 50 Bar e temperature di 350°C. Il limite attualmente raggiungibile con queste tipologie, arriva tranquillamente ai 900°C con pressioni di 100 Bar.
E’ evidente che sotto questi limiti ci sono migliaia di applicazioni dove si possono impiegare con successo i “piastre”.
Il “fascio tubiero” continua a mantenere e manterrà il suo zoccolo duro di applicazioni estreme. Non è sostituibile (il futuro ci dirà per quanto ancora).
Ci sono parecchi impieghi che sono al momento non raggiungibili dai “piastre”, si pensi ad esempio a tutte quelle applicazioni legate a recuperi su fumi o su aria a bassa pressione (problemi di perdite di carico e velocità). Ma sempre più il limite dei “piastre” viene spostato in alto, sempre più qualche costruttore sposta l’asticella un paio di gradini sopra.
Nel caso di Tempco, con una ampia gamma di piastre ed un servizio rapido efficiente e mirato, riesce a fare concorrenza ai vari Gea Ecoflex, o Alfa Laval, inserendosi in tutte quelle nicchie di applicazioni processistiche, dove il piastre classico non poteva arrivare, ma dove nuove tipologie di piastre arrivano in tutta tranquillità.
Tutti gli impianti tendono ad essere “compattati”, “miniaturizzati”, la tendenza è quella di economizzare i consumi di acqua. Lo scambiatore di calore a piastre sicuramente è la risposta a queste esigenze, senza contare che può essere modificato on site, aumentandone la superficie senza modificare il piping.
Tutte queste caratteristiche sono ben note agli utilizzatori di scambiatori di calore a piastre, ma voglio sottolinearlo, in quanto sono caratteristiche assolutamente non raggiungibili dai classici scambiatori a fascio tubiero.
Uno dei pochi svantaggi delle “piastre” è che il materiale meno nobile stampabile a freddo è comunque l’acciaio inox, mentre un “fascio tubiero” può essere realizzato in rame o in ferro, ma anche in questo caso la tecnologia ha fatto passi da gigante, arrivando a stampare piastre sempre più sottili, con invariati valori di resistenza alle pressioni differenziali.
Lo scambiatore a piastre a mio parere, sposa perfettamente il concetto a me caro di “standard custom flexibility product”, ovvero quei prodotti standard, che possono adattarsi facilmente alle richieste sempre più customizzate che il mercato impone.